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Le poesie di Angelo Viviani 135

poi preti! Vi pare l’ora questa di seccare un galantuomo che pranza? E chi è questo sacerdote?

Il cameriere alzava le spalle a maggior confermazione della propria irresponsabilità e non sapeva ripetermi altro che: — Quel sacerdote le vuol parlare.

Forse la costoletta che tentavo di mangiare mi suggerì l’idea della pazienza. Del resto, come ho detto, l’ora persuadeva alla calma. Dalla finestra socchiusa vedevo una striscia di strada bianca, arroventata, popolata soltanto da un cane che, accovacciato nel rigagnolo, con pazienza esemplare andava a caccia di selvaggina sul proprio individuo. Il silenzio era profondo e il ronzìo incessante delle mosche non lo interrompeva. Tutto disponeva alla tranquillità filosofica, e mi rassegnai a dare udienza al reverendo.

Era un uomo robusto, bruno di pelle e di capelli, lucido in viso come fosse unto. Si avvicinò mezzo sorridendo e mezzo imbarazzato, ed al mio invito di sedersi, rispose con un gesto negativo, risoluto e forte come la sua persona. Il collo toroso e le spalle quadrate indicavano che il sacerdote doveva avere dei terribili accessi di tentazione ed auguro alla Chiesa che il suo ministro abbia avuto la forza dell’anima uguale a quella del corpo: se no, poveri voti!

Così in piedi, davanti alla tavola, il reverendo mi disse che era curato in montagna, che aveva saputo