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4 | Brani di vita |
aver ballato con molta energia, insieme ai colleghi, intorno ad un mappamondo in mezzo all’aula, e di aver riscossi unanimi applausi per l’esecuzione brillante dell’esercizio ginnastico detto l’albero forcuto. Sul tardi ci decidemmo a lavorare, ed io comunicai i miei bollenti spiriti all’opera della mia sapienza giuridica. Cominciai coprendo di vituperi il cranio di papa Clemente VII perchè distrusse la repubblica fiorentina, e finii rimproverando il ministro Menabrea perchè dopo Mentana non era andato a Roma. Domando io che cosa c’entrava questa borra in una tesi di diritto amministrativo? E tra il principio e la fine, era una tempesta di punti ammirativi, di apostrofi, di sarcasmi, d’esclamazioni; c’erano dentro tutte le più calde figure rettoriche possibili. Era insomma una tesi un poco brilla.
Cinque o sei giorni dopo, la mattina a digiuno, coll’abito a coda di rondine e la cravatta bianca, dovetti recarmi all’Università per leggere e sostenere pubblicamente la tesi davanti alla Facoltà ed agli ascoltatori. Lessi, ma in parola d’onore, avrei preferito di non leggere. Mi vergognavo. Tutto quel lirismo bacchico recitato a bassa voce da un giovine a digiuno, in soggezione e colla voce spaurita, doveva fare un bell’effetto! Alle interrogazioni dei professori m’impaperai, dissi degli spropositi cavallini, feci una figura nefanda, e forse mossa da un delicato senso di compassione, la Facoltà mi approvò a pieni voti. Vorrei esprimere la mia gratitudine ai benefattori, ma credo che sia tempo di chiudere la parentesi).