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dividui. La Francia nel secolo decimoquinto, da cima in fondo messa a soqquadro, pianta l’ultima lacrima sopra la fame, la peste e la guerra, di punto in bianco si volta a ridere ed immagina la danza macabra: al fiero dramma non tratti lieti, non motti giocondi, non viluppi di festose avventure somministrano argomento, bensì la Morte, la quale nel suo caribo travolge turbinosa la sabbia dei papi, degl’imperatori, di ogni maniera monarchi e baroni e moltitudine di gente senza nomenota. Davanti lo spettacolo delle opere della livellatrice di tutte cose terrene, della saldatrice di tutti i conti umani il popolo della Morte rideva ed alla Morte applaudiva. La peste partorì le cento Novelle di Messere Giovanni Boccaccio; anche Franco Sacchetti mosse a dettare il suo libro piacente, l’affetto di sovvenire ai desolati: e questo con bel garbo ci fa sapere nel Proemio delle trecento Novelle: e considerando (egli scrive ed io lo riporto per mostrare ai giovani quale fosse la dettatura dei vecchi e si vergognino della loro) «al presente tempo ed alla condizione della umana vita, la quale con pestilenziose infermità e con oscure morti è spesso visitata, e veggendo quante rovine, con quante guerre civili e campestri in essa dimorino, e pensando quanti popoli e famiglie per questo

(552) IACOBBE, Danza macabra.