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pur troppo, che la superbia di sua natura troppo sottile, senza che l’uomo se ne accorga, gli si annida in qualche cantuccio del cuore, ond’è che io tolsi come fatta in onore mio la serenata gioconda. Però avevano destinato i cieli, che ogni illusione più cara mi venisse tolta nel diuturno carcere a quel modo, che l’Aquila nella muda perde tutte le penne; di vero certo uomo pratico di questi luoghi mi accertò non credere punto la fosse fatta in mia lode, bensì dell’Architetto, che con ingegno pari alla carità aveva saputo radunare dentro una chiostra umida e angusta tre privati. Della quale notizia rimanendo io sbigottito, l’uomo dabbene per temprarmi alquanto l’amarezza delle sue parole aggiunse:

— E potrebbe essere benissimo, se considero i molti meriti suoi che questi Asini non possono ignorare di certo, e la serenata più. strepitosa del solito, che mezza la ne tocchi a lei, e mezza all’architetto.

— Dio la benedica, risposi consolato porgendogli una presa di tabacco, accetti da me questo conforto del povero uomo, però che quello del galantuomo se lo sieno appropriato i chiarissimi viri, che mi hanno condotto a questo1. Dio la benedica; che se vossignoria lustrissima si fosse trovata nei piedi

  1. TERNE, Viaggio sentimentale.