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gai: — Frate, che fai? Ed egli a me: mi vendico. — Vendicarti, ripresi io, e di che? — Mi vendico, rispose egli, perchè io pongo il nido nei pruni e tu mangiandoli me lo sconci sovente, sempre me lo scompigli. — Oh! scusa, replicai pur domandando con l’aria del volto perdono: io non l’ho fatto a posta, e causa ne fu l’uomo, che di un calcio nella pancia mi ha dato cena515. Così chiarita la faccenda, posammo gli animi, ormai più di prima diventati amici.

Suprema virtù, celebrarono i filosofi la temperanza così nei cibi, come nelle bevande, avvegnachè dalla qualità e dal soverchio di quelli venne a generarsi negli animaleschi corpi ogni cagione d’infermità: e questo fu male; non però il peggio, chè l’anima si sentì con inestimabile smacco presa dallo stravizio e sbatacchiata fuori delle consuete rotaie con pericolo di fiaccarsi il collo. Ignobile cosa il corpo, e nondimeno padrone di condurre l’anima in precipizio, nel modo stesso che per ordinario un vetturino ubbriaco menava in giro tanti papi fiori di galantuomo, e tanti principi di garbo.... ond’io Asino anche adesso pensando al pericolo, che allora correvano il trono e l’altare, pei brividi faccio la pelle di Pollo. — In testimonio della mia sobrietà adduco il proverbio vecchio:

«Per sè bee l’acqua e agli altri porta il vino»