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bra maggiore, mi appose una brutta calunnia e fu questa: che io Asino dopo essere stato compagno del Leone per le macchie, avere cacciato seco ed alternato con esso lui gli uffici di scambievole consuetudine, vistolo vecchio, me gli scuoprissi di punto in bianco nemico rompendogli il muso con proditoria zampata. Infamia! A fronte aperta io sostengo che se tra gli Asini non occorrono apostoli, nè anche ci si trovano Giuda. Però, come si addice ad animo ingenuo, io non dissimulo che una zampata e badiale il Leone ebbe, però non da me, bensì dalla Mula mia cugina, ed anco per la difesa della propria vita, o come dicevano i legisti pel moderamen inculpatae tutelae, ed ecco come sta il fatto. Certa Mula fiorentina, qualunque ne fosse la cagione, forse ell’era democratica, non consentì per fas o per nefas a lasciarsi dal suo nobilissimo padrone cavalcare, onde questi stizzito pel disprezzo che gli pareva non peritarsi per parte della Mula, e veramente non meritava, la espose al Leone, imperciocchè, per qualche tempo anche su i primordii del principato taluno di stirpe leonina or qui or là sì mostrasse a Firenze. Già entrambi i volghi, il patrizio e il plebeo, accorrevano in folla al circo dove così tristo governo doveva farsi della mia cugina, e sparsi pei gradini già apprestavano le smanacciate e le risa per la strage abietta della Mula rifiutatrice dell’illustre