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l’E. V. pensi potere gl’Italiani accomodarsi in eterno co’ suoi tedeschi, andare indifferenti al dolore ed alla vergogna della dominazione straniera, credere torni in massimo loro vantaggio dividere con gente nemica un pane già scarso sopra la propria mensa, dimenticare le immanità, gli strazii, i parenti a sangue freddo trucidati; no, V. E. nè pensa, nè altri estima che pensi, la forza e la frode, anzi più questa che quella, darle autorità di conculcare un popolo perpetuamente. La forza partorisce il fatto, non il diritto. Costà in Germania visse, Eccellenza, si degni rammentarlo: Herman o Arminio, cui i popoli alemanni ed ella, signor Conte, inclusive, meritamente celebrano eroe, perchè combattè i Romani e lasciò insepolte le ossa delle legioni di Varo in mezzo alla foresta e ai paduli; ella, signor Conte, ed i suoi compagni così facendo operano da quei valentuomini che sono; lasci anche a noi la facoltà di desiderare il nostro Arminio: gli antichi nostri vantarono, non vituperarono il suo; ed è questo esempio imitabile di onestà anche per lei. Impedire che ciò avvenga è fatto suo, nostro che sia; attraversarci può tornarle utile, signor Conte, giusto mai; ma dolersene, ma muoverne querele non è da uomini di Stato, bensì, col dovuto rispetto parlando, da bambini insolenti e stizzosi.