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zato, non abbastanza perchè l’odiassero; il Principe reputavasi di poca, non già di malvagia mente, gli nuoceva la razza, perchè Austriaca; gli giovava la Patria, perchè nato a Pisa e se ne vantava; offese a vendicare scarse, nè capitali, indole mite, ferocia nessuna, si trovavano i popoli nella Toscana condotti a desiderare cose nuove per la memoria delle antiche franchezze e per amore astratto della Libertà. Discrepanza che, come nocque per lo passato così, Dio voglia non guasti le ragioni del futuro; però allora come ora, e troppo più ora che allora comune agitava il cuore di tutti (non si contano i turpi) il desiderio di rivendicare la Patria dalla abborrita e odiata di mortalissimo odio dipendenza straniera. —
— I popoli rassomigliavano l’uccello che su l’aperta frasca sta speculando da qual parte apparirà l’albòre del giorno; desti erano e inalberati; quello che si avessero a fare ignoravano. Allo improvviso ecco venire in luce due libri di Vincenzo Gioberti, i quali con abbondanza di parole e di concetti impetuosi bandivano dovere la Italia aspettarsi salute dal sacerdozio romano: essere la gente italica da Natura disposta a tenere il primato fra i popoli; e questo primato continuarle nel Cattolicesimo, dalla Provvidenza commesso all’opera santa di riunire le membra sparte della nobile Patria nel vincolo di Religione e di