colpe loro, io non ti posso dire, chè questa è soma di bene altre groppe che non sono le mie: però se ti chiappa vaghezza di saperne qualche cosa, io ho il tuo servizio ed ecco come: In fondo della via di santa Verdiana nella bella città di Fiorenza hacci una terra che già fu orto delle donne del convento delle Murate, e scema poi diventò appendice del carcere ricavato dall’antico monastero. Una famiglia povera più di Giobbe la teneva a fitto, e il padre, cui non bastava la rendita della terra per sopperire ai bisogni che quotidianamente in casa sua allungavano i denti, si schermiva da valoroso con mille industrie; tra le altre praticava anche questa: raccolti i residui delle scorze adoperate al conciare le pelli, gl’impastava in formelle, le quali risecche al Sole servivano a mantenere un sospiro di fuoco sul camino del povero negli stridori dell’Inverno. Ora, essendomi parecchie volte costà ridotto a cavare il carico delle formelle di che ti dissi, mi venne il destro di vedere aprire un muro che separava l’orto dal carcere e da cotesta apertura uscirne un prigione, come Giona vomitato dalla Balena. Notai com’egli venisse fuora all’alba dei pipistrelli, quando il Sole tramonta e le ombre si prolungano malinconiche da Occidente all’Oriente. Se tu ricordi una notte di autunno della nostra terra, allorchè spirava impetuoso lo scilocco e per lo cielo andava