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vano e non curavano parlare d’Italia nè anche in lingua italiana.

Nè a farli vergognare bastarono gli esempi buoni e le generose parole del Monti, del Giordani, del Perticari, del Costa, del Gioberti, del Cantù, del Leopardi, del Botta, del Cesari, del Parini, del Foscolo, di Alfieri massimo e di altri benemeriti italiani; la piena superava gli argini; non cessavano costoro di gridare continui alla gente Ausonia: curate, che nè anche da una fessura spiccichi l’umore maligno, che poca acqua basta alla rovina della barca: avvertite al fanciullo olandese che, scorto il pelo nel dicco, vi oppose il cappello appuntellandolo con le spalle e quivi stelle finchè il marangone non venisse a turarlo. Tullio ripigliò Marcantonio per avere recato nell’idioma latino le parole nuove piissimus e dignus e facere contumeliam: e per testimonianza di Quintiliano ei non la perdonava nè anche al figliuolo suo. Tiberio orando domandò perdono al senato di essergli sfuggita dalla bocca la parola monopolio, straniera di origine; volle eziandio da certo decreto si cancellasse la parola greca, la quale suona quanto in volgare smalto su le orerìe ed altra equivalente vi se ne sostituisse; non trovandola, per via di perifrasi si rimediasse; vietò al soldato indotto come testimone di favellare greco davanti ai tribunali: parvero coteste fisicaggini e non comportabili pedanterie; al male pertanto fecero male; e di un buco a-