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e quanto più tepido meglio per lui; ond’egli senz’altro ordinò che, fatta salire la Somara per la cordonata al primo piano, gliela mungessero all’uscio. Però il palazzo non gli appartenva; un principe romano più copioso, come sovente accadeva, di nobiltà che di quattrini gli aveva dato a pigione il primo piano: ora a costui scendendo un giorno nello androne venne fatto incontrare qualche cosa che nei palazzi dei principi non si dovrebbe incontrare; ond’è che preso da izza a cagione di quella turpitudine significò risolutamente al prelato che mai più si attentasse far salire l’Asina in palazzo. Indarno il pretato oppose po’ poi non era cotesto il finimondo e gli avrebbe fatto toccare con mano che degli Asini in palazzo tutto dì ne salivano; il principe stette sodo al bando: la quale notizia essendosi sparsa per Roma e sentendone ogni uno raccapriccio ed affanno, un poeta interpretando il sentimento comune, dettati questi due versi in vendetta della offesa natura, gli appiccò all’uscio del prelato:

«Ahi! duri tempi, o barbaro consiglio
Alla madre impedir che allatti il figlio!»

— Di male in peggio, obbiettaronmi i repubblicani; mancarono vipere al capo di Medusa? Perchè sentisti pietà di tali che non l’ebbero mai per alcuno?