Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, II.djvu/228

226

in ispecie quelli, che a furia di percosse e di travagli non erano condotti al lumicino. Adesso favellerò delle orecchie.

Delle orecchie? Sì certo, delle orecchie, come quelle che non solo davano ornato al mio capo, ma erano arnese superlativo di sapienza, e questo è chiaro, imperciocchè se il cervello spillava i concetti e la bocca gli spargeva sopra le generazioni dei viventi, le orecchie ne raccattavano i germi. Chiunque pertanto possedeva orecchie più lunghe, quegli era disposto a fare meglio copiosa provvisione d’idee; onde i sordi si ebbero in conto di morti e non poteva essere a meno: io poi fui donato di orecchi mirifici.

Il conte di Buffon, forse come francese un po’ astioso della squisita delicatezza mia a deliberare le acque, dichiara che se io non tuffo il naso lo faccio per la paura delle orecchie. O Numi consapevoli, si può egli sentire di peggio! Tanto varrebbe affermare che il prelodato gentiluomo non beveva al bugliolo per terrore della sua coda. Gran parte del libro della Natura egli lesse a dovere, in qualche punto però gli caddero gli occhiali; al contrario il mio Poeta incerto, comecchè non fecesse professione di scienze naturali, tuttavolta mercè l’istinto divino degli altissimi Poeti, sbirciato di traverse il libro della Natura, potè penetrarlo nei più reconditi arcani intero, onde meglio esperto di lui disse: