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Nei tempi vetusti, quando più fioriva la eccellenza degli ingegni rari, la mia immagine si adoperò come simbolo superlativo delle Corti, e non sapendo io adoperare parole più acconcie nè meglio ordinate di quelle di cui si valse un poeta dabbene per significare la cosa, soffri in pace, o re, che io te le reciti tali e quali le appresi a memoria, imperciocchè mi venisse assicurato una volta essere la pazienza gran parte della virtù dei giudici, ed è sopra tutto la mia. Cesare Caporali, chè tale ebbe nome il poeta dabbene, descrivendo il libro della vita di Mecenate, ecco come la ragiona in rima:

«Questo era un libro miniato e fatto
     Di propria man di Acilio allor liberto
     Di Mecenate, e ci era il suo ritratto;
Ma non si ritrovava uom così esperto
     Tra i libri che snodar quella scrittura
     Sapesse e far l’oscuro senso aperto.
Non che mutato il corpo o la figura
     Fosse alle lettre no, ma sbigottiva
     La intricata perpetua abbreviatura,
Perchè ogni lettra semplice serviva
     Per sillaba, sebben d’altra maniera
     Pare che l’Arcidiacono le scriva;
Ma acciò se ne abbia una perfetta e vera
     Notizia, ancorchè poco alfin c’importe
     Che scriven quasi ogni sillaba intera,
Vi do un esempio: un volea scriver Corte,
     Questa voce bestial che nella rima
     Meritamente ha per compagna morte,
Giungeva al C ch’era una lettra prima
     Un po’ di coda, e ciò con gran giudizio
     Ed alla T due virgolette in cima.»