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il tabernacolo da mani sacrileghe profanato. Allora andarono in cerca di una patena la quale, trattata quotidianamente dalle mani tutte caste, tutte candide, tutte pie di preti e frati, non può fare a meno che non sia arnese strasacrato e quella avendo sporta verso l’ostia, l’ostia in begli atti discese e vi si adagiò sopra lieta e contenta più che mai fosse sposa novella coricandosi in letto nunziale. In memoria del portento i Torinesi edificarono la cappella del Corpus Domini. L’Asino, desiderato da tutti, con magnanimo sagrifizio consentì, dopo essere vissuto più che potè, che morto l’ardessero e delle ceneri manipolassero pillole che inghiottite in seguito dal popolo di Torino gli attaccarono alle ossa il culto dell’Asino. Ond’è che anche dopo lo Statuto, dopo le leggi bastevoli a infellonire, non a togliere di mezzo i frati (i preti lasciavansi stare ed era distinzione tra Sorcio e Topo), a Torino con maraviglia del mondo ogni tre anni menavasi la processione dell’Asino, due cotanti più solenne di quella che tutti gli sbattuti dalla miseria d’Italia in quel felice paese con molta consolazione presente ed auspicio di meno tristo futuro ammirarono nel 24 febbraio 1857, la quale menò al rogo sulla piazza Vittorio Emanuele il carnevale defunto.

Ma il mormorio che adesso mi si leva dintorno, Bestie sorelle, perturba forte l’ani-