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patosi dal turpe insieme coll’ostia volò per aria un cento di braccia e lì entrambi fecero punto. Lascio che tu consideri, o mio re, lo stupore e lo sbigottimento. Il vescovo Ludovico Romagno trasse in maniche di camicia al portento, e dietro a lui il clero tutto qual senza cappello, qual senza gonnella, e dicono, perfino taluno le brache: dietro al clero una frotta

E d’infanti, di femmine e di viri.

colà ridottisi tutti in ginocchioni con le mani levate, come i putti la sera del 5 gennaio sotto la cappa del focolare domestico; affinchè la Befana propiziando scenda a empire le calze sospese di avellane, di fichi secchi o di altra più prelibata cosa, supplicavano il tabernacolo e l’ostia a degnarsi di scendere. Il tabernacolo, come quello che di argento finissimo essendo si sentiva peso e stracco di stare lassù privo di appoggio, senza troppo farsi pregare calò, ma l’ostia più aerea e tenue cosa e per soprassello impermalita s’incaponì a rimanere sopesa. — Allora un frate laico, comunemente vocato torzone, sussurrava al vescovo Romagno: Il tabernacolo come maschio ha capito subito il negozio e ci si è adattato, ma l’ostia come femmina sta sul puntiglio. — Zitto, ciuco gli disse il vescovo; questo significa che l’ostia purissima abborre locarsi dentro