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sero nel mondo giorni nefasti, nei quali in mancanza di colpe inventavansi parole tanto più metuende, quanto meno comprensive di senso, atte a colorire sfogo di rancori, compimento di vendette e ostentazione di zelo bugiardo, si sentì da un lato rimettere il cuore in corpo, mentre dall’altro gli crebbe la paura, che in simili faccende le cause più disperate aveva conosciuto essere le più innocenti. Una volta in simili occorrenze adoperavansi i sicarii che con una brava stilettata alla svolta del canto o con un boccone nella vivanda facevano il colpo; e zitti a papi. Nei tempi che tennero dietro la legge stessa temperavasi al fuoco, acuivasi su la pietra, e fattone coltello mettevasi in mano al giudice onde assassinasse con quella. Dicevano migliorati i tempi; in quanto a me con tutte le quattro zampe sosteneva il contrario: imperciocchè, prima si offendesse, non inquinasse la legge che restava inoperosa sì, ma sempre venerata immagine del giusto: fatta poi sicaria, si venne a perdere la nozione del diritto e del rovescio e il mondo diventò un bosco di banditi. Allora (miserabile a dirsi!) quale corse divario tra il giudice e il condannato? Questo uno, che meritevoli entrambi della galera, al primo toccò in sorte mandarci e al secondo andarci. Tuttavolta Apollo non si rimase con le mani alla cintola; e siccome ai tempi della sua potenza a molti fu grazioso, a