Pagina:Guerrazzi - L'asino, 1858, II.djvu/107


105

con doloroso singhiozzo non altramente che se fossero state pallottole prorotte fuori dalla balestra. L’osceno strazio cacciava il raccapriccio addosso a quanti vedevano; la statua equestre che sta in mezzo di piazza, comechè di bronzo si fosse, ne mandava giù goccioloni e questo non faceva specie; piuttosto era argomento di maraviglia considerare piagnente sul vituperio del popolo la faccia di Cosimo primo granduca di Toscana. Il Diavolo, visto lo spossamento, si mise le mani in tasca e cavatine fuori pugni di polvere raccattata da tutti i Manicomii d’Italia la sparse per l’aria; ancora, soffiata nell’atmosfera una rugiada crassa di vino di Chianti, rinfocolò la infiammazione costringendo i tristi ipocriti, in dispetto dell’agonia della morte che già li teneva, a continuare il rigoletto e urlare Libertà e Religione. Ma già l’ora dodicesima furtiva e cheta era salita in cima della torre del palazzo dei Priori, e colà appariva paurosa di luce sanguigna202 come un occhio di gigante infermo di oftalmia: subito dopo dalle loggie dei Lanzi scese uno spettro di donna lungo lungo, giallo giallo, la quale veniva oltre tenendo a fatica i lembi del suo grembiale pieno. Egli era lo spettro della quaresima, che al Diavolo volto disse: — se il Demonio manca alla parola, chi da ora innanzi la osserverà nel mondo? Michele ti aspetta. — Il Demonio, come se un soldato tedesco ausi-