un soprastante de’ miei amici si avviluppava nella clamide greca in sembianza di Armodio; un sottosoprastante seguitava vestito da Aristogitone con gli occhiali verdi e l’ombrello in mano; dietro a loro si affrettava la venerabile confraternita dei droghieri con assisa soldatesca e i morioni di pani di zucchero in capo; succedevano a questi l’armento dei giudici immascherati da galantuomini con la cappa tinta in vermiglio per la medesima ragione, che mosse Licurgo ad ordinare rosso il paludamento dei soldati, voglio dire perchè non vi scorgessero sopra il sangue sparso e ne avessero paura; conti e marchesi portavano la maschera di riformatori dello studio di Padova. Empoli mandò tre avvocati, uno vestito da Giulio II, che dietro a tutti i canti gridava: — fuori i barbari! — il secondo da Quinto Pompeo, il terzo da Lucio Settimuleio, quegli patrizio, questi plebeo, perfidi entrambi. Un usuraio si era coperto dal capo fino ai ginocchi con una campana, in guisa che di lui non si vedevano altro che le gambe. Un procuratore generale spingendo davanti a se il gregge dei cancellieri, delegati, ministri processanti, carcerieri e simili, si mostrò immascherato da Polifemo, gli altri da Lupi. Al comparire ch’eglino fecero notarono molti che questa non si poteva chiamare a rigore immascherata, bensì semplice mutamento di veste, ed essi lo confessarono addirittura, ma