tutta la vita e se veniva a strapparsi, da per loro la rabberciavano alla meglio e tiravano innanzi; così durò un pezzo, finchè un giorno saltò in testa al Tempo di buttar via le pianelle di piombo e rubata la ruota alla Fortuna, i calzari a Mercurio, si mise a volare sopra la ruota che volava. Allora, come ti puoi immaginare, accadde una stupenda mutazione di cose; chi stava in fondo salì in cima, e chi stava in cima fece, cadendo, il tomo. I tempi nuovi domandavano le fogge mutate, e gli avventori spesseggiarono alla bottega della Ipocrisia, la quale, dalla sfrontatezza altrui presa baldanza, tirò giu buffa e venne a rizzare fondaco nel bel mezzo di via Calzaioli: non più sporto semichiuso come prima, non vetrine opache; spalancate le porte e i fasci delle maschere pendenti a un chiodo fitto nell’uscio, come i vaiai e l’Austria ci tengono i mazzi delle pelli delle Bestie e di popoli scorticati. Il mondo girava a modo di trottola in mano ai ragazzi, e il bisogno di cambiare maschere urgeva veemente, sicchè ti so dire, che meno si vede frequenza di popolo nelle chiese il giovedì santo di quella che accorresse alla bottega della Ipocrisia; tutti volevano essere serviti i primi, le maschere buone a terza, non bastavano a nona, le barattavano a sesta per tornare a cambiarle a vespero, gli era un andare e un venire, una calca, una pressa da non poterci fare