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vasarla in Asia, le genti stupite non si contentarono riverire santo unicamente l’Eremita, ma vollero distendere la santità alle cose, che spettavano a lui, e quindi anche al suo Asino; e fin qui non ci era male; il male fu in questo altro che smaniosi dì possedere reliquie di Pietro, e non riuscendo a chiapparlo, ch’egli si sottrasse con la fuga al pericolo di essere messo in brani per divozione, si avventarono a me meschino e con religiosa violenza mi pelarono la coda132. Genova, un tempo nobilissima città del mare Tirreno, adorò reliquia la coda dell’Asino, che intiepidì coi suoi fiati l’aria dintorno al divino Infante nel presepio di Betelemme, e lungamente la serbò sospesa su la porta della Chiesa di Santa Maria di Castello133. — La Casa di Santa Croce venuta ab antiquo da Gerosolima a Roma, tra i più cari tesori della famiglia, custodì la coda dell’Asino di Balaam134. In breve parlerò della pelle intera; adesso mi giova ricordare la coda dell’Asino di Verona, la quale involata (pietoso furto!) e trasferita in Ginevra, quivi rimase, quantunque sentisse freddo, finchè perdutasi cotesta città nella eresia di Calvino, presa da dolore e da sdegno, la coda ortodossa fuggì via domiciliandosi a Genova. Donde si cava che le sante code dell’Asino, ospiti di Genova, sarebbero state due, e così credo ancora io135. Ora vorrei, che mi sapeste dire,