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capitolo xx.


in questa parte non si lasciava patire; mantenuta dal conte, manteneva... chi mai? Non importa dirlo; uno di quei tanti così che costumano portare i baffi appuntati volti in su come le vacche le corna, ed i capelli spartiti per davanti e per di dietro su la zucca come gli spicchi del popone. Donde vengano non si sa, dove vadano nemmeno; pari al sole dei climi tropicali, non conoscono crepuscolo; splendidi di tutti i loro raggi compaiono nelle sale magnatizie, sfolgoranti di tutti i raggi loro precipitano nella tenebra; forse, se ne francasse la spesa, a cercarli bene, si troverebbero in galera, ovvero in sagrestia; intanto corruscano nei club; nei turf si esaltano Minossi, poichè ci decidono i piati, e talora eziandio emuli a Castore semideo scendono nello stadio e corrono il palio; luogotenenti e vescovi in partibus di Tersicore, la musa ballerina nelle soirées dansantes; diaconi e suddiaconi di Como nei banchetti e nei buffets; Achilli della forchetta e della spada, perchè talora duellano, e non senza audacia, per conto proprio, più spesso vengono a regolare cotesti intrugli, che chiamano a ragione partita di onore, essendo provato che l’onore non ci si fa mai vedere, o, se per caso ci s’imbatte, scappa senza voltarsi indietro. La cittadinanza finge maravigliarsi di simile risma di gente e le appella misteriose; cittadinanza vile e corrotta, che si tappa occhi, orecchi e bocca per non vedere, non