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ministrazioni però deputarono uomini nuovi, perchè i vecchi rubare sapevano, ma non con le eleganze del rubare moderno: quanto a boia non rinvennero meglio del Piantoni, ed il carnefice del duca di Modena, che impiccò Ciro Menotti, continua a impiccare per conto del re d’Italia, quantunque la sua reputazione sia affatto scroccata.1 A capo dei tribunali stanno magistrati come questi — e qui additava il buon Goffredo — che se capitassero ma’ mai in bocca al diavolo, durerebbe a sputare coma e lische almeno un mese. — Ed ecco come saranno sanati infallante co’ buoni esempi i rei costumi del nostro inclito regno.

I pazzi avevano fatto un cerchio intorno al presidente ed alla sua bella compagnia, levando un rombazzo, un frastuono, un rovinio che pareva il

  1. Questo Piantoni il 22 gennaio 1871 impiccava in Alessandria Antonio Vertua; ed era la sua 171a, dico centosettantunesima impiccatura. Nell’Eco del Tirreno, 5 novembre 1872, da tale che esaminò il cadavere dell’impiccato si afferma che le ossa del collo erano al loro posto, e non rotte, il midollo intatto; il boia col suo laccio semplicemente affogò l’appiccato, ed esso non potendo respirare morì asfittico.
      Da questo racconto si ricava come il prelodato boia contasse panzane quando si vantava egli solo possedere l’arte di spacciare subito, e senza quasi dolore, il paziente, rompendogli con un calcio o due esteticamente assestati taluna delle vertebre cervicali. L’avvocato Giacomo Borgonuovo, nel suo terribile libro Il Patibolo, il Carnefice e il Paziente, racconta come Pietro Piantoni, impiccando a Genova Felice Abbo, per bene dieci volte pestasse sul capo di cotesto infelice, senza contare Giorgio Porro, aiutante, il quale per di sotto tirava giù a strattoni da schiantare la corda. Anche il patibolo ha i suoi ciarlatani.