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capitolo xx.


rannicchiandosi e invocando con tutte le potenze della sua anima un coppo per potercisi come la testuggine rimpiattare dietro. Fabrizio, vistosi scomparire dinanzi il presidente, rimase alcun tempo sbigottito, poi si levò per cercarlo, e trovatolo lo trasse fuori di sotto al banco per la cravatta.

— Ed ora che sai tutto, tu vuoi fuggirmi, ribaldo; su presto, un consiglio, e fa’ che sia dodici once buon peso.

Il presidente tremava a verga, e quasi senza avvertire quello che diceva belò:

— Senta, signor commendatore, se io mi trovassi nei suoi piedi, sa ella che cosa farei?

— Che cosa fareste?

— Mi costituirei in prigione.

— Ah! scellerato, alla fine ti ho colto; non credere che io non conoscessi da gran tempo i tuoi tranelli; ho contato ad una ad una le frodi che tenevi sotto a covare come la gallina le uova. Tu vuoi goderti la voluttà di mandarmi in galera...

— Ma no... ma no, commendatore.

— Sì, sì; invidia e interesse sono le faville che ti hanno il cuore acceso. Tu, spento che avrai tutti gli uccelli, pezzo di asino, ti dai ad intendere di cantare come un cardellino.

— Ma no, ma no, commendatore, abbasso quelle vostre mestole e ascolti un po’ me: provato che sia, e noi lo proveremo di sicuro, l’atrocissimo oltrag-