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48 il secolo che muore


vizio della società; noi meritiamo meglio di lei, ed è «chiaro, perchè, mi fa la finezza di sapermi dire qual differenza passa fra noi e voi altri? Per me non ci vedo che questa, che noi pigliamo gli uccelli e i magistrati li pelano e gli arrostiscono. Il nostro premio in questo modo è piccolo, ma Dio ci ricompenserà nell’altro a misura di carbone... almeno questo è quanto ci assicura il lustrissimo signor questore, quando si schermisce dal crescermi la mesata. Dunque la non mi confonda, lustrissimo, e non mi distorni da dare a Cesare quello ch’è di Cesare e a Dio quello ch’è di Dio, vale a dire: a lei ciò che spetta come inquilino, a lire quarantuna l’anno, al questore quanto gli spetta per la sua mesata.

Dopo queste parole, la donna candida torna a sdraiarsi sul guanciale marito e nega rispondere ad altro. Il presidente si caccia su per le scale arrovellato, pensando alla temerità della polizia, che si attenta ficcare il naso fino in casa di un presidente della Corte di assise. Si sa, il vasaio porta invidia al vasaio.

Il presidente sonò piano; lo squillo del campanello parve una gocciola; ma Bibbiana, destra, aperse subito l’uscio con la catena traverso, donde il padrone le fece cenno, mettendo l’indice diritto sul naso, di stare zitta. Entrato in casa, con voce e garbo di congiurato le mormorò negli orecchi: