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capitolo xx. |
può star la storia e non sarà men bella;
chi poi sentisse diversa voglia dia retta, che mi spiccio in due remate. — Gravino, senza farne motto ad anima viva, di subito scomparve; si arrolò soldato, combattè le patrie battaglie sempre eroicamente e sempre sventuratamente, colpa non sua, bensì di coloro che dal cravattone e dalla insolenza in fuori nuli’ altro ebbero di soldato; per ultimo una palla di cannone gli portò via ambedue le gambe: dopo aver sofferto inenarrabili angoscie e tentennato un pezzo fra la vita e la morte, parve volerla scampare. Artemisia ed Efìsio, appena lo poterono fare senza pericolo, da Brescia lo trasportarono a casa, donde non s’è più mosso: dire che Artemisia ed Efisio quivi gli prodigarono cure di madre e di padre sarebbe poco. Gavino è diventato un culto per loro; non lo lasciano mai solo; le più sere i coniugi gli tengono compagnia intorno al letto; il dottor Taberni, quando va a visitarlo, butta da parte il suo concio ligure e il suo concio parlamentare, e vi si trattiene fino al tardi: in capo alla settimana qualche altro amico non manca; Gravino ha trovato modo di moversi e fa da scritturale ad Efìsio; lo tiene bene informato e lo dirige in tutti i suoi negozi, sia agricoli, sia commerciali. Da due mesi Artemisia, non lo dà per sicuro, ma crede di essere incinta; di qui un dire inesausto, un mulinare a perdita di vista sopra ar-