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capitolo xxiv. 395


te muoia... dunque mi hai da promettere che quando sarò morto tu mi riporterai in Italia,

. . . . . . . . . . nella mia,
Nella diletta tua terra natia,1

e lì mi darai sepoltura a canto la madre; così pensando... che se vivo ebbi a starmi lontano dalla terra natia, morto potrò riposarci in pace, l’anima mia si consolerà.

Allora Eufrosina, ponendo a sua posta la destra sopra la spalla di lui, tutta accesa nel volto, gli tenne il seguente discorso:

— Curio, ascoltami: io mi confesso femmina di poca levatura, quel poco che so l’ho imparato da voi; pure, meditando sopra le sentenze vostre e dei grandi patriotti italiani che ebbi in sorte udire, credo poter pronunziare un giudizio poco lontano dal vero intorno la qualità dei nostri tempi. La Italia nostra, tra bene e male, nè intera ha potuto unirsi, in onta agli sforzi di tenerla disunita di quei dessi che ora si vantano fattori della sua unità: unirono l’Italia la necessità delle cose e la virtù del popolo affidata nelle mani di Garibaldi; adesso ella è cascata in potestà di paltonieri come il retaggio improvviso dello zio morto in America; costoro, quanto più patirono miseria per lo addietro, tanto maggiormente si sono voluti rifare a tirar

  1. Grossi, Il coro lombardo.