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capitolo xxiv. | 391 |
penne scoteva raggi di luce, e dovunque passava incuteva spavento; l’aquila di un tratto diventava uomo, presentando le forme del generale Garibaldi; all’improvviso la visione mutava sembianza, e gli si presentavano dinanzi agli occhi effigiate a mo’ della statua della Architettura scolpita davanti il sepolcro di Michelangelo da Valerio Cioli, con la mano sotto il mento, le larve dei suoi fratelli attendere meste la parola di consolazione, che il parente non può negare mai al parente, perchè il sangue nelle famiglie sia sempre sacro, e quando la universalità dei cittadini abbia il triste diritto di maledire un uomo, non lo ha mai il fratello. Da un altro sepolcro scoperchiato dalla cintola in su gli appariva la buona e cara immagine materna, la quale, protendendo ambo le braccia, sembrava che cercasse il capo di qualche nipote per benedirlo.
Fantasia di poeta non saprebbe immaginare nè manco i molti e vari trovati co’ quali Eufrosina s’ingegnava divertire cotesta tetra malinconia, che moveva tanta guerra all’uomo del suo cuore; motti, scherzi, detti arguti, colpi lieti, capestrerie leggiadre, tutto essa poneva in opera, e spesso, Curio invano nolente, traeva a correre per la foresta provocandolo come la Galatea di Virgilio...1
. . . . . . . . . . . . . di un pomo |
- ↑ Buccol., Eglog. III.