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capitolo xxiv. 383


ma ella li amò tutti di perpetuo amore: la lasciarono dando uno sguardo al cielo, riportando la promessa che le stelle sarebbero state benigne di luce alla ignorata sepoltura; e, posta la mano su l’erba, si accertarono che la notte non avrebbe cessato di piangere le sue rugiade sopra le ossa infelici; non una parola e neppure un sospiro avrebbe potuto aprirsi una via traverso la loro gola attenuata; le piante folte ammortivano il rumore dei passi dei nostri personaggi, sicchè parevano ombre che tornassero da associare un’ombra alla sua eterna dimora...

Accostandosi alla porta del cimiterio, ecco rompere il funebre silenzio uno strepito confuso di maledizioni e di minacce, un rumore di chi fugge e di cui insegue, un dimenio di chi agguanta e di cui tenta guizzare di mano: di corto si conobbe la causa del trambusto; Foldo e la sua degna consorte, avendo voluto entrare di riffa nel camposanto, n’erano stati duramente respinti: allora si piantarono su la porta per attendervi gli amici e ricambiare con essi l’ultimo addio; e siccome anche questo si era loro voluto impedire, resistevano, sbatacchiavano gli sbirri, facevano il diavolo a quattro: quando poi li sentirono vicini, non ci fu verso tenerli, sgusciano dalle mani dei cagnotti e nelle braccia loro si abbandonano. Smaniosi furono gli abbracciamenti, ebbre di dolore le parole, i baci