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capitolo xxiv. | 373 |
La necessità suggeriva a Filippo parole succinte ed efficaci; gli pose in mano lettere e documenti; gli si raccomandò in visceribus non mettesse un minuto di tempo fra mezzo; dallo indugio ne uscirebbe il danno certo e irreparabile; forse non difficile impedire che la pietra cascasse nel pozzo; cascataci dentro ci vorrebbe il diavolo a cavamela.
Il signor A., che poteva dire di se quello che Virgilio mette in bocca a Didone: non ignara mali mìseris succurrere disco,1 insaccati i fogli e calcatosi il cappello in capo, si mise la via fra le gambe e in meno che non si dice un credo cascò come bomba briccolata in fortezza nemica nella camera del prefetto, il quale allora stava per lo appunto in consulta col generale di divisione, il procuratore del re, il colonnello di giandarmeria, il questore, insomma con tutti i denti del coccodrillo civile e militare preposto alla custodia della città.
La orazione del signor A. stringata in modo da far morire d’invidia Tacito e Bernardo Davanzati, la quale orazione insomma si sostanziò in questo:
«Le persone ch’essi si disponevano arrestare essere cittadini liberi della Unione americana; diventati tali in grazia di debita naturalizzazione; di più riputati dal governo cittadini benemeriti per opere e per dovizie largamente spese in pro della Unione; —
- ↑ Scottato dall’acqua calda, mi fa paura la fredda. Traduzione libera.