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capitolo xxiv. 369


dagli occhi di Eufrosina, ch’ella ci teneva sopra ostinata.

— Oh! non m’invidiare, cattivo, la misera gioia che nasce dalla incertezza di un bene. — Fermati, dico. Tanto per forza non verrai a capo di nulla.

— Ebbene, fallo di tua Volontà... Ah! non ti basta l'animo? Ti manca il coraggio? Va’, ti faceva meno codarda.

— Codarda io! Gruarda se io sono vile!

E tale parlando, allontana le mani dagli occhi e la intera anima trasfonde nello sguardo.

— Vedo! vedo! Curio... babbo... mamma stesa sul letto... Ahimè! Curio... mi sento morire...

E la povera tosa casca nelle braccia dello amante... Piangevano tutti, e veruna esultanza avrebbe avuto virtù di porgere refrigerio ai dolorosi quanto cotesto lacrime, se la paura di male per la cara fanciulla non li avesse amareggiati. I nostri personaggi, disposti in diversi atti, non si arrisicavano di pure alitare, come quelli che temevano ogni sottil fiato potesse spegnere la fiammella, la quale, se non era morta, nè anche appariva viva. Allo improvviso Eufrosina ritorna a spalancare gli occhi smaglianti nella potenza dei moltiplici affetti...

Nel modo che la scienza ammaestra la luce del sole emanare dalla combustione simultanea di molti metalli, tra cui principalissimo l’oro, così nello sguardo di Eufrosina sfolgorava la gratitudine verso quello