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ma per questo non potè vedere la faccia della sua Eufrosina, imperciocchè ella si trovasse per così dire compenetrata in quella del suo diletto, come se presumesse gittare la propria forma nella forma di lui, onde Filippo, montato in istizza, mise le mani in mezzo a guisa di cuneo, e tirando forte di qua e di là giunse a separare le fronti dei giovani. Eufrosina fino a cotesto punto non si era attentata ad aprire gli occhi; adesso le viene fatto sollevare una palpebra, e:

— Madre di Dio! ella grida, lo vedo, lo vedo, l’ho visto, l’ho visto, l’ho visto!

— Chi hai visto, anima? Chi hai visto?

— Cario ho visto... Curio...

E aveva richiuso gli occhi.

— Riapri gli occhi, cara, le andava ripetendo Filippo fuori di sè, sincerati una seconda volta.

— No, no, mi basta; e se tornassi a non vederlo più? Sa fosse stata una visione passeggera!... Capisci, babbo, mi si spezzerebbe il cuore.

— Ma come mi hai visto? subentrava a dire Curio... su, dimmelo, diletta mia.

— Ecco, io ti ho visto, e giudica s’è vero, tu ti sei fatto color di rame; sopra il ciglio destro hai un taglio... è vero o non è vero?

— Sì, è vero: dunque su via, coraggio, riprovati una seconda volta.

E così dicendo Curio tentava removere le mani