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capitolo xxiv. | 367 |
— Eufrosina! Dove sei?
— Babbo!
— Curio!
— Non alzate la voce; — siamo noi... proprio noi...
A tastoni, brancolando, trovarono il letto, — incontrarono i pegni della loro tenerezza, si strinsero, abbracciaronsi, bocca a bocca incollarono, l’uno alitava, anzi viveva la vita dell’altro; — non parlarono, non piansero; tanto sprofondarono in cotesto abisso di passione, che rimase sospeso in essi ogni senso di dolore; — così gli occhi affissando la soverchia luce smarriscono la facoltà visiva.
Dopo parecchio tempo Filippo si accorse ch’erano tutti al buio, onde si mise a dire.
— Lume! lume! ch’io vo’ vedere la cara faccia della figlia mia.
— Lume! lume! ripeterono in coro Isabella e Curio.
— Lu... gridò a sua volta impetuosa Eufrosina, senonchè a mezzo le strozzò nella gola la parola l’acerbo ricordo della sua cecità; smaniando ricinse con ambo le braccia il capo di Curio, e forte se lo accostò al suo; che adesso alla virtù di amore si aggiungeva la paura. Filippo, per far presto, frega una mezza dozzina di fiammiferi al muro, e, come succede sempre, fece più tardi e si scottò le dita. Alfine accende quanti lumi gli occorrono nella stanza;