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capitolo xxiv. | 361 |
— Mille lire! Le paiono poche mille lire... in oro... subito... prima che ella esca di bottega?
— Via, non s’impermalisca, voglia scusarlo alla inesperienza... mi getto nelle sue braccia... e che devo fare per istringere il negozio?
Il libraio liberale fra sè esclamò: Accidenti! questa ha fame; si poteva portare via la compra per metà prezzo; il cuore mi strascina sempre dove vuole! Poi a voce alta: Ecco, io stenderò un bocconcino di lettera, nella quale la signoria vostra mi dichiarerà avermi ceduto la proprietà degli scritti di Orazio Onesti per quattro anni, ed ella la segnerà.
— Sì signore, come comanda.
— L’editore liberale ecco si assetta al banco, si pone gli occhiali a cavallo al naso, e tutto tremante per la contentezza del magnifico affare conchiuso buttò giù la lettera, avvertendo di portare a cinque i tre anni primamente convenuti.
La Isabella si accorse pur troppo della pidocchieria, ma non si attentando rilevarla per la solita paura, si tacque: riscosse le mille lire e si affrettò a ridursi più che potè difilato a casa, senza pur volgersi addietro, nel sospetto che costui non gliele ripigliasse.
Quel medesimo giorno, Dio (avrebbe detto un prete) per ricompensare il libraio liberale e dabbene della sua azione da galantuomo, gli mise di-