Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xxiv. | 359 |
essi, donna mia, non sanno che vendere; e se non vendono più, egli e perchè hanno venduto tutto.
— Non tutto, signore, non tutto.
— O sentiamo un po’ che cosa non hanno venduto.
— L’onore.
Il libraio stette alquanto su di sè; poi soggiunse:
— Può darsi, ma s’è rimasto in bottega vuol dire che veruno si è presentato ad acquistarlo.
Isabella, comecchè donna, venne in pensiero di saldargli la turpe ingiuria con uno schiaffo sul grugno, e lo faceva se glielo acconsentiva la spossatezza, ora accresciuta pel nuovo strazio; aveva già volte le spalle per andarsene, quando il libraio, così incapace di sentire vergogna per sè come il pudore della dignità altrui, solo per istinto di curiosità interrogava:
— Scusate, donnina, si potrebbe sapere come vi sono capitate nelle mani coteste quisquilie?
— Io sono figliuola adottiva e nuora, insomma erede unica rimasta di Orazio Onesti.
— Come così è, perdoni sa, se non la conoscendo... se non avendo l’onore di conoscerla (e qui si cavò la berretta) si accomodi, prego (e le offeriva lo sgabello stesso sul quale egli poc’anzi sedeva), non può credere come mi si stringa il cuore a lasciarla andar via così sconsolata... Faccia una cosa, la mi lasci coteste preziose reliquie del celebre suo signor so-