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capitolo xxiv. | 357 |
di Curio sariensi placate e il suo sangue addolcito; per Eufrosina Isabella si riattaccava alla vita, giunta all’occaso; nel presagio dei nepoti, ella riviveva in loro, esultava nella speranza che la sua stirpe avrebbe conservato e cresciuto la traccia luminosa della gloria di Orazio, la memoria della bontà di Marcellino, ed anche riscattato gli errori degli altri suoi sventurati figliuoli... Ah! alla povera madre non bastava l’animo di confessarli colpevoli nè manco a sè stessa.
La buona donna, moglie di Foldo, quante volte le sue faccende gliene porgevano comodità, scappava dalle sue amiche: entrata in casa lei, le altre potevano riposare a tutto agio, imperciocchè ella sola facesse per quattro. Siccome la non si poteva dare pace di vedere la Isabella levata, e più volte gliene aveva mosso rimprovero, questa, la prima volta, le aveva susurrato negli orecchi: — Deh! non me lo dite più mai per quanto amore portate alla gran madre di Dio; la Eufrosina se ne affliggerebbe; e dal vedermi questa figliuola attorno contenta, mi fate la carità di dirmi quale altro conforto mi resta?
E veramente se la Eufrosina si fosse addata della miseria che la circondava, sarebbe morta per ischianto di cuore. Quanto a Foldo, ogni giorno che Dio mandava in terra faceva portare il pane a casa di Isabella: ma non solo pane vivit homo; rammentatevelo, lo ha detto anche Cristo; rammentatevelo per-