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326 | il secolo che muore |
in mano contenente la cenere di tutta la sua stirpe. Certo le avanzava un figlio, ma ciò la fortuna maligna aveva fatto non già per consolarla, bensì perchè ella non si addormentasse sopra il suo cuore per cangrena tranquillo, ma sì per accompagnarla con le strappate dello spasimo fino all’ultimo passo verso il sepolcro. Adesso la santa donna con la morte nel petto, e nel sembiante larva di quello che fu, dissimulava il suo stato fino a darsi attorno per le faccende di casa; a tanto strazio ella si conduceva per non contristare la cara Eufrosina, dandole ad intendere che sana si sentiva e baliosa. La pietà profonda, il desiderio immenso che sentiva di conservarsi rigoglioso il bel giglio di amore, la persuadeva a custodirlo con l’aspra diligenza dell’avaro; anzi, ella giunse al punto di percuotere con frequenza il cucchiaio e la forchetta nella scodella e nel piatto che aveva davanti, onde far credere alla cieca ch’ella cibasse largamente le vivande che a stento aveva provveduto alla povera figliuola.
Chi ignora le gioie, i dolori e le cure della famiglia, non comprende le ragioni di tanto smisurati sagrifìzi; affermano siffatte ragioni interessose, ed è vero; ma vi hanno interessi degni di essere assunti tra le stelle in cielo più della chioma di Berenice, ed altri che il diavolo non si attenta toccare per paura di scottarsi le dita; le sue ragioni erano queste: per Eufrosina sperava che le furie della mente