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capitolo xxiv. 353


che non avranno atteso venti anni per farsi immettere nel possesso dei miei beni; dunque giudico che da molto tempo dev’essere trascorso a favor loro il termine dei trenta anni per succedermi a tenore di legge: ora, se di un tratto io mi facessi vivo, sta’ certo che mi avrebbero caro come un morto maligno scappato dalla sepoltura per divorarli. Lasciamo che godano in pace il bene di Dio, il quale essi credono possedere legittimamente; capisco che all’ultimo essi vedrebbero che, se fossi resuscitato, lo farei per dare, non per riprendere; ma prima troppo più li turberebbe la paura di perdere, che la speranza di acquistare. Ed ora voi potete comprendere che io posso bene ingannarmi nei miei ragionamenti, ma che però opero sempre a caso pensato. Per istasera satis: domani ci ritornerò su per venire ad una conchiusione; intanto pensateci, e buona notte.

Di vero la notte portò consiglio, e Curio e Filippo si trovarono d’accordo ad accettare la proposta di Maurizio; il primo per tutte le ragioni esposte da questo, alle quali, esarcebato com’era, altre ne aggiunse del medesimo conio; Filippo taluna di quelle ragioni trangugiava come pillole confettato in aloe; da altre poi torceva incollerito il pensiero; ma sopra tutte prevalse lo immenso amore che sentiva per la figliuola e la brama di vederla accasata prima di morire.