due tratti tirati giù con la brace vi darò contezza dell’essere mio. Nacqui a Novara; il mio nome è Maurizio Goguini; credo essere stato conte o marchese, qualche cosa così: giovanetto, perchè se aveva compito il diciassettesimo anno a diciotto non arrivava, mi sentii acceso per la libertà o piuttosto per la sua larva; tolto quanto più potei danaro sopra i miei beni, accorsi là dove mi chiamava la voce del conte Santorre Santarosa, amico vecchio di casa mia; breve, ingloriosa impresa fu quella, e per parecchi lati anco infame; caddi ferito, ed a gran pena mi salvai nella Svizzera; colà giacendo lungo tempo sul letto del dolore, diedi spesa al mio cervello; tritato e vagliato, il preteso liberatore mi resultò uno erede ustulante il retaggio dell’uomo vivo; in lui vidi libidine di regno, non amore di libertà; onde costui quinci a breve, per non cascare giù dalla speranza del regno, sopporta in pace che un soldato tedesco, il generale Bubna, gli brancichi per dispregio la ganascia e gli dica irridendolo: «Ecco il re d’Italia». Costui più tardi, per emendare il breve fallo di amore di patria, e per accattarsi il perdono dei re, di preteso soldato della libertà in Italia si converte in soldato della tirannide nella Spagna; — sputai monarchi e monarchie: — nè meno severo meditai sul Santarosa, su Moffa di Lisio ed altri cotali, e mi comparvero avversi alla monarchia non mica per ischiantarla, bensì per ri-