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capitolo xxiv. 337


convivere insieme non si vedeva; gli affetti nostri, quantunque legati con vincoli che si giudicano sacri, di leggieri si sciolgono, pensa se gli altri che ci sorgono nell’anima a modo di riverbero di luce, come eco di voce.

Il vecchio colono, quasi dando l’ultima mano ad un disegno condotto a conchiusione da tempo remoto, ad un tratto incominciò così:

— A voi tarda, amici miei, ripigliare la vita avventurosa in cerca di fortuna, onde vi sia dato rivedere la terra del vostro nascimento e vivere in pace con le creature che tanto vi sono a ragione dilette. Senza loro i giorni vi sanno di amaro, che poco più è morte, e vi lodo e va bene; però vi prego a considerare che, se pel tempo che corre, impossibile non si può dire, difficilissimo proviamo far fortuna, e farla presto; quindi io vi propongo addirittura di mettere giù la voglia dei pellegrinaggi e rimanervi meco a vivere all’ombra della nostra vite e del nostro fico, per dirla con le parole dei patriarchi del Testamento Vecchio... Non mi interrompete di grazia; statemi a udire fino in fondo; risponderete dopo. — Voi per avventura vedrete due impedimenti a questo mio concetto; uno da parte mia, l’altro dalla vostra. Da parte mia vi daranno scrupolo i congiunti, gli eredi necessari, le speranze deluse ed altri simili intrugli; ponetevi l’animo in pace; io ne vado immune: ora in