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306 il secolo che muore


da cotesto infelicissimo occaso si scompagnano le rugiade, impercioccliè le lacrime sieno le rugiade del dolore, siccome la rugiada è il pianto della natura. Silenzio e tenebre: la notte ormai accecò il sole, il monastero si è inghiottito il re. E perchè il paragone comparisse più conforme al vero, — siccome fra noi, tramontato il sole, spunta dal lato opposto la luna, così l’immaginativa riportava a Curio la sembianza di Tasia vedova del re frate, che si faceva, pallida pallida, a visitare il marito, e sempre invano, — perchè: se Rachis fosse sceso cadavare nel sepolcro dei morti, la desolata avrebbe potuto liberamente piangervi sopra e implorare pace all’anima diletta; ma l’avara crudeltà del frate vigilava con occhi senza palpebre il sepolcro dell’uomo vivo e ne respingeva ogni affetto.1 L’inferno e il monastero si mostrano del pari gelosi di conservare la loro rapina.

Dileguatesi siffatte immaginazioni, subentra nella mente dei nostri personaggi un altro pensiero del pari in tutti uguale; e lo sentivano, imperciocchè paia cosa certa che gli spiriti degli uomini corrispondano fra loro con altre facoltà che la parola, i cenni e lo sguardo non sieno: invero i pensieri di tutti loro adesso si appuntano nel giorno dell’addio. Invero, come potessero durare più oltre a

  1. Anastasius, in Vita Zachariae.