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capitolo xxii. |
Allora la donna si mise a guaire:
— Ohimè! chi mi farà le spese? Chi mi vestirà, chi mi albergherà, chi mi nudrirà? Ora il marito mi scaccia, il cappellano non mi vorrà più a cagione dello scandalo; io verrò a stare con lei; lei è obbligato per coscienza a mantenermi, e per legge.
Il delegato scappò via per non darsi del capo nel muro: infellonito, frusta, rifrusta, da per tutto fruga, ci adopra l’estremo della sua malizia; invano; coloro ch’ei cercava stavano tranquilli a dormire in casa sua: scornato, ebbe a tornare con le pive nel sacco.
Mentr’egli entrava in Milano, i nostri eroi ne uscivano. Molte le cautele, gli accorgimenti infiniti adoperati per trarli fuori di pericolo, e soprattutto non laudata quanto merita la fede inconcussa degli amici; io mi passo dal descriverli; basti al lettore che Filippo e Curio, travestiti da calderari istriani, passarono per Rocca di Anfo; rividero fremendo di pietà e di rabbia tutti i luoghi consacrati dall’altrui sangue italiano e dal proprio: appena giunti a Trento trovarono modo di avvisare Foldo, il quale non mancò di mandare subito alla signora Isabella il filo di pane co’ due franchi dentro; di che se si facesse festa grande in casa di lei lascio che il lettore immagini: avresti giudicato che nel cuore della madre di Curio dovesse essere ben morta ogni litizia, e non fu così, perchè il cuore materno si ac-