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capitolo xxii.


stite questi da barocciai; ecco due perrucche; giovanotto, giù i baffi; di biondo trasformatevi in nero; voi, vecchio, di grigio ferro vi muterete in argento schietto; ci guadagnate un tanto; tra poco arriverà qui un branco di bestie e di cristiani, e voi v’imbrancherete con gli altri; vi affideranno un baroccio; a condurre un cavallo poco ci vuole; le nostre povere bestie, affrante dalle fatiche, voi non proverete bucefali; andate dove gli altri andranno: non domandate, non rispondete; e sarà spediente che voi non vi mettiate uno dietro l’altro, lasciate tra voi quattro barocci o cinque; e addio; lavorate pulito.

Dopo mezz’ora la contrada andava sossopra da un fracasso di cavalli, di barocci e di vetturali; se avessi pretensioni alla fama di storico veridico, dovrei aggiungere: e di bestemmie, perchè, io non so la cagione, la plebe tutta, ma i vetturali in particolare, hanno lite perpetua col paradiso e con chi ci è dentro. Lascio andare l’acqua per la china, ma per me ripeto che se la plebe non crede in Dio e bestemmia, è stolta; se ci crede, scellerata.

In tanta gente, in mezzo a cotesto bailamme, Filippo e Curio si confusero con gli altri, senza che veruno se ne addasse, e ciò tanto più potè farsi, che due barocciai, i quali erano d’intesa, entrarono nel fienile, e dati i debiti segni, si convertirono in