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capitolo xxii.


quando tira libeccio. — E meglio che anch’io me ne vada a letto, disse fra sè, ed era risoluzione piena di giudizio; peccato che la pigliava un po’ tardi, perchè la seggiola, in quella ch’egli stava per alzarsi, gli scivolò di sotto, ed ei cadde lungo e disteso sul solaio. Al rumore del tracollo Filippo schiuse alquanto gli occhi, e visto il caso mormorò:

— Sta bene dove sta, e voltatosi su l’altro fianco si diede in balìa del sonno.

Quando si risvegliò, che a buona caviglia aveva legato l’asino, stava per sonare l’ora della visita notturna alle carceri; bevve un bicchiere di vino, che levò da un armario per darsi un po’ di fiato e poi mise mano a spogliare l’addormentato dei suoi panni, il quale voltato e rivoltato tronfiava, non però risentiva: spogliato ch’ei fu, Filippo fece delle sue vesti un fastello, ma consideratolo bene, segnò col capo tale atto da destra a sinistra, che parve mano che cancelli un rigo di su la carta; allora sciolse il fastello, ed esaminati meglio i panni gli parve avere il fatto suo; invero, essendoseli provati, trovò che sopra i suoi gli andavano a pennello, poichè il secondo fosse alquanto più atticciato di lui e quasi complesso quanto Curio. Sicuro, a chi lo aveva in pratica sarebbe parso più grosso, ma al buio non ci si bada, e poi avrebbe scansato che mettessero troppa attenzione sopra di lui; a questo fine tirò giù il lucignolo nel luminello della lan-