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capitolo xxii. |
interruppe un livornese: costui di fatti veniva da Firenze: — E fermi, proseguiva, mettendosi la mano in tasca; io pago il vino per tutti, e ce lo beveremo alla prossima guarigione della nostra Eufrosina piena di grazia.
— Magari! risposero a coro i camerati appuntando gli sguardi nella mano del livornese, il quale, poichè ebbe rovistato un pezzo, la trasse fuori mortificato, e disse:
— Maledetto vizio di portare i danari alla rinfusa! Li perdo sempre. Tanto è, finche non ci daranno moglie, noi altri soldati avremo sempre le tasche sfondate.
— Largo allo Specioso! Giusto voleva dire; il lupo perde il pelo, il vizio mai; e chi tal disse, nacque a Pisa, dove dei fumi livornesi sono piuttosto invidiosi mordaci che severi censori.
Allora Eufrosina, ridendo lietamente, incominciò:
— Peccato che tanto bella concordia deva andare a monte! Quanti siete?
Non risposero, compunti da pietà, però che la domanda chiarisse lo stato deplorabile della fanciulla, elle dopo poco ripeteva: — Insomma, quanti siete? che mi toccherà riscontrarvi a tasto?
— Otto; col caporale nove.
— Ebbene, ecco un cavurrino, che a me cieca è riuscito trovare in tasca, mentre il livornese alluminato ha fatto fiasco...