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capitolo xx.


speculò sì arguto l’orizzonte per accertarsi sicuri gli auspicii della navigazione, com’io contemplai la tua fronte, onde sperderne la nuvola più leggera che la tenesse adombrata; ed io sovente ti riprendeva per trovarti sospirosa e sola; ond’io me ne andava in cerca di Gavino, perchè la tua malinconia sollevasse, e riempita la coppa della esultanza domestica, noi la libavamo in tre; bella ogni musica, ma sopra le altre accetti i trio, come quelli che noi cantavamo in tre, pigliando maraviglioso diletto nel mescolare le nostri voci insieme; in tre rincorrevamo le farfalle sul prato; odoravamo in tre la cardenia colta su le aiole, in tre (bene inteso coperti dei debiti indumenti, vulgo mutande') rinfrescavamo negli estivi ardori le nostre membra nel ruscello: e quando mi chiamavano altrove le cure dei campi, Gavino, in che mani affidava Artemisia, se non nelle tue?

Qui fu udito un bisbiglio confuso di voci, le quali avendo potuto distinguere avrieno sonato così: — Matto da catena, tu ti sei andato a cercare col fuscellino il male come i medici: se questo non è aguzzarsi il cavicchio sul ginocchio, che altro sia non saprei: va’, ti stanno meglio che le tre corone al papa: vorrebbe il resto, ed ha a rifare un tanto: mandatelo a rimpedulare il cervello. — Efisio stava in procinto di farsi una sconcia stincatui-a, se per fortuna non gli capitava di vedere la sua donna