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capitolo xxii.


battuto sul pavimento; gli occhi le durano belli e smaglianti, ma, disgraziata! non ci vede più. Ne consultai il chirurgo maggiore del Castello, ma costui, che non essendo stato trovato buono per veterinario ce lo regalarono chirurgo al reggimento, non seppe dirmi altro: acqua fresca e seguitate. Stringiamo dunque, che il tempo incalza, e se la fortuna mi assiste, vorrei dar sesto a ogni cosa, perchè le sassate sono buone di colta... La ragazza io non so se gliel’abbia a raccomandare o non gliel’abbia a raccomandare. Se penso a lei, madre, penso che sarebbe insolenza; ma s’ella pensa a me, misero padre, mi perdonerà... Non è vero?

E sceso di sul camino, presa la mano alla Isabella, gliela baciava con religioso trasporto.

— Ottimamente! si udì in cotesto punto esclamare una voce, che mosse dal dottore Taberni, il quale aperto l’uscio di cucina c’intrometteva il capo. Egli, secondo il solito, era venuto a visitare la inferma, onde Isabella presolo risoluta per un braccio gli disse:

— Senta un po’, dottore, il caso accaduto a questo povero padre, e ci dica schiettamente la sua. Guardi per carità se ci fosse rimedio; — e qui con parole succinte gli esponeva (non senza prima far di occhio a Filippo, perchè reggesse il venti) per filo e per segno come il cielo avesse felicitato Filippo di una figlia di sorprendente bellezza, anima dell’anima sua e