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capitolo xxii.


ho voluto neppur chiamare per paura di destare sospetti; era sicuro che tu mi avresti seguitato.

— Dunque andiamo in casa, ci chiuderemo in camera e parleremo.

Filippo gli disse: — Ecco, per ora ti confido che mi bisogna trovarmi travestito a certa posta di qui a mezza ora: però prestami i tuoi vestiti da giorno di lavoro; quando tornerò a ripigliarmi i miei panni da soldato, allora ti racconterò ogni cosa per filo e per segno. — Comare, vi prego, acqua in bocca; gioco sopra una carta la vita di quattro persone.

E Foldo: — Vivi tranquillo, abbiamo mangiato la foglia.

Senz’altre parole, aiutato dalla moglie, Foldo trasformò il compare per modo, che guardatosi allo specchio non si riconobbe neppur’egli; dopo ciò Foldo per maggiore cautela fece uscire Filippo dalla scala maestra, che riusciva in via Ciovasso, dietro a quella dell’Orso, dov’era aperto il suo forno.

Filippo, travestito, se ne andò lemme lemme, che non pareva fatto suo, rasente le case, sbirciando con l’occhio destro i numeri delle porte; voltò al Carmine, prese di via Brera, venne giù per San Giuseppe, Appiani, Bossi: per ultimo a San Tommaso; qui, notato il numero 31, guizza nella porta e si arrampica per le scale al quarto piano: picchia; gli è aperto.

— O Filippo, siete voi? Se non era la voce chi