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202 | il secolo che muore |
all’orecchio di lei, ci bisbigliò con un filo di voce: — Stanotte.
Eufrosina gli prese il capo con ambedue le mani, glielo strinse forte, lo baciò su gli occhi, su le labbra, su tutta la faccia, e parlò:
— La mamma mia, la moglie tua, che ti fu si cara, dal cielo ti ascolta, ti benedice e ti aiuterà, ne sono sicura; e, dimmi, Curio lo sa?
— Lo sa.
— Ha mostrato voglia di vedermi?
— Si domanda? L’avresti anche tu?
— Ah! per ora come farei a vederlo? E tu, babbo? bada bene, non dirgli la disgrazia che mi è successa, perchè quel caro angiolo mio se ne accorerebbe, e nel maggior bisogno gli cascherebbe il cuore... però una voce mi dice che lo rivedrò... lo voglio rivedere di certo... ma adesso non è tempo; capisco che ci vuole risoluzione... va’ dunque, babbo, pei fatti tuoi.
— Vado, Frosina, vado; guarda qui, ci è da mangiare, e qui metto la boccia per bere... per trovare ogni cosa tu non hai a fare altro che stendere le mani...
— Ho inteso... ho inteso... va’ pure senza sospetto.
— Ma se credi che ti abbia a mandare qualcuno...
— Va’... va’... ah! non senti, che finchè non vi sappia in salvo mi parrà di arrostire a fuoco lento?
Ora è da sapersi come Filippo avesse in Milano