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capitolo xxii. |
visitando le persone, non avessero risparmiato le ascelle, i capelli e ogni altra più segreta parte del corpo (delle vesti, delle scarpe e del cappello non se ne parla nemmeno), ma quanto alla bocca si erano rimasta di sbirciarla aperta, senza insisterci troppo.
Filippo aveva avuto la fiera costanza di essersi rimasto fin lì da visitare Eufrosina; e con deliberato consiglio, timoroso di darsi alla disperazione, caso mai avesse trovato che le durava la crudele infermità, e la disperazione come il coraggio gli portasse via la prestanza; e per disgrazia troppo bene si appose, dacchè le tenebre abbuiassero sempre gli occhi della bella desolata. Filippo, nel mirare la sua creatura immobile e in volto trasfigurata, compresse i gemiti che lo spasimo gli spingeva alla gola, ma non si potè tenere da baciarla con veementissimo ardore: riconfortatosi alquanto, la mise a parte del proposito di condurla presso la madre di Curio, che in cotesto stato, ella, lo doveva capire, sarebbe stata di pericolo mortale alla fuga, ed ella lo voleva salvo il suo Curio, non è vero?
— E, babbo, dimmi, quando è che tu lo salverai?
— Zitto! Questo non importa che tu sappi.
— Non importa? Ah! tu non pensi quanto mi lasci infelice.
— Hai ragione, anima, — ed accostati i labbri