Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
capitolo xxii. |
ci sgombrare la prigione di ciò che vuoisi quotidianameute pulire e che non importa inventariare: rimasti soli Curio e Filippo, questi subito gli domanda:
— A che punto siamo della segatura?
— Tra un paio di ore gli è affare fornito.
— Bene: però ti avverto che la Eufrosina con noi non possiamo... non dobbiamo condurre.
— Come!
— Anzi, tu non la potrai ne manco vedere...
— Ma io...
— Ma tu, interruppe Filippo con atto che parve più di rabbia che d’impazienza, devi lasciarla in custodia di tua madre finchè non sia passato il pericolo: piglia qua lapis e carta; scrivi a tua madre raccomandandoti che presso di se accolga la mia... la nostra Eufrosina, come figliuola la custodisca... l’ami. Ma di’ un po’ su, confidati a me, che non lo saprà neanche l’aria, la è veramente buona, come tante volte mi hai assicurato, tua madre? — Non potrebbe mica il troppo affetto filiale averti fatto velo alla mente? Perchè... vorrei tu mi capissi... Eufrosina... l’anima dell’anima mia...
Adesso fu la volta per Curio di mostrare impazienza; levate le spalle, tolse di mano a Filippo la carta e il lapis, ponendosi a scrivere senza dargli risposta.
Filippo, che comprese l’intimo pensiero di Curio, ne rimase mortificato, e susurrando a fior di labbro: